L’ecografia dell’addome completo è un’indagine che studia tutti i visceri addominali.
In buona sostanza comprende l’addome superiore e l’addome inferiore (pelvi)
L’ecografia dell’addome completo è sicuramente uno degli esami diagnostici più richiesto. Difatti molteplici possono essere le indicazioni, sia la insorgenza di alcuni sintomi (dolore addominale, febbre, ittero, ematuria, stranguria, nicturia, meno metrorragia), sia il riscontro di alterazioni ematochimiche (aumento di transaminasi, bilirubina, colesterolo, trigliceridi, amilasi, lipasi, CPK, LDH, marcatori oncologici; alterazioni dei marcatori virali, alterazioni dell’emocromo), sia il monitoraggio periodico di alcune patologie croniche (epatopatie, nefropatie, tumori, splenomegalie).
L’ecografia dell’addome completo a fronte dei numerosi vantaggi, presenta alcuni limiti. In primo luogo l’apparecchiatura. La bontà dell’ecografo impiegato è fondamentale. Al giorno d’oggi cosi come negli altri campi, anche nell’impiego degli ultrasuoni la tecnologia ha consentito di ottenere risultati sempre migliori. Secondo limite… la bontà dell’ecografista. Negli ultimi anni vi è stato un incremento di medici che si sono improvvisati ecografista, senza avere l’adeguato background pratico e culturale. L’ecografia è un esame che richiede interpretazione, ovvero il medico attraverso la propria esperienza e cultura conferisce un valore clinico a ciò che vede. Sempre legato alla bontà dell’ecografista è poi la qualità del referto. Un bravo ecografista deve conoscere bene l’anatomia sia topografica che ecografia in quanto deve descrivere con chiarezza cosa vede, dove lo vede e formulare ipotesi diagnostiche. Ultimo limite: la preparazione del paziente. L’ecografia va fatta dopo digiuno di sei ore, adeguato riempimento vescicole, eventuale premedicazione in caso di intenso meteorismo.
Pertanto va ribadito che l’ecografia non ha valore assoluto: ciò che l’ecografista vede, lo filtra, lo interpreta, lo referta.
Un ‘ultima considerazione. Esibire sempre all’ecografista eventuali esami precedenti: un reperto patologico va sempre inquadrato nell’ottica del criterio temporale. Per esempio, un’immagine descritta come lesione benigna se si modifica nel giro di pochi mesi, sia ecostrutturalmente che volumetricamente, potrebbe richiede un’ulteriore valutazione diagnostica.